17 Giugno 2012 Emanuele Bompan

RIO day 1

da Belo Horizonte (temporaneamente per seguire il meeting ICLEI)

È iniziata ufficialmente oggi la Conferenza sullo Sviluppo Sostenibile Rio+20, con il governo Brasiliano che ha preso il timone della guida del processo negoziale, dopo tre giorni di incontri preparatori. Il segmento di alto livello inizierà il 20 giugno, quando arriveranno ministri e capi di stato.

All’aeroporto mi ricevono decine di funzionari sorridendo, si possono fare gli accrediti qua. Sembra che l’organizzazione sia buona, un elemento di buon auspicio nella riuscita del summit.

Che, tuttavia, dalle indiscrezioni che emergono da alcune fonti governative e da vari articoli della stampa internazionale, non sembra promettere bene. Ritardi, frustrazioni, agenda approvata solo al 20%, divisioni tra BRICS, paesi industrializzati e il blocco dei G77, difficoltà a trovare anche solo un punto d’inizio sulla riforma della governance globale per l’ambiente.

Il gruppo dei paesi africani ha lanciato un allarme deciso. L’ambasciatore Kenyano Macharia Kamau, un veterano dei negoziati ONU per l’ambiente ha espresso apertamente i suoi dubbi: «dopo due giorni di negoziati il processo rallenta e va per certi versi nella direzione sbagliata. Alcune questioni come Agenda21 e il Programma di Azione di Johannesburg sono state riaperte. Non è stata ancora decisa la risoluzione “il mondo che vogliamo” (una risoluzione quadro di intenti, nda)».

Critiche numerose anche dalle ONG che parlano di processo non inclusivo, lento, poco propositivo. Sebastien Duyck di RioPlusTwenties (rioplustwenties.org/), un network di advocacy di under30 ha definito il processo «eccessivamente chiuso e lento. Se ONG, gruppi indigeni, giovani, società civile potesse partecipare attivamente al processo invece che esporre statement di due minuti durante la sessione di chiusura, si riuscirebbe a raggiungere risultati più incisivi».

L’appoggio politico per molti infatti è limitato. «Non sono presenti i ministri di economia e finanze, che dovrebbero avere una voce importante, in un processo che non è meramente ambientale ma anche economico», mi ha confidato un rappresentante dell’OCSE presente a Belo Horizonte al meeting dell’ICLEI http://worldcongress2012.iclei.org. Sopratutto non verranno Primi Ministri di nazioni importanti.

Il nostro Mario Monti non verrà, preso dai problemi dell’EuroZona. Nemmeno Barack Obama, nonostante la forte pressione degli ambientalisti usa, non lascerà Washington, troppo occupato per il meeting G20, di cui molto probabilmente si parlerà solo a latere di questioni ambientali.

In una conferenza stampa di oggi, sabato 16 giugno lo Special Climate Envoy Todd Stern, incalzato dai giornalisti brasiliani, che hanno sottolineato lo smacco politico dell’assenza del presidente USA, si è limitato a dire che gli USA rimangono i donatori numero uno al mondo per lo sviluppo e che Hillary Clinton, che rappresenterà gli Usa a Rio, ha lanciato iniziative senza precedenti per lo sviluppo green (http://www.state.gov/secretary/rm/2012/06/191694.htm) e nella lotta alla povertà, terzo pilastro della suo Smart Power.

Arrivano interessanti osservazioni dal Ministro dell’Ambiente Corrado Clini (il suo ufficio stampa ha approvato una mia richiesta di intervista, probabilmente il 20 o 21) che aveva partecipato al primo Summit di Rio. ”Vent’anni dopo la comunità internazionale si interroga sul futuro del pianeta in una situazione completamente diversa: perché i cosiddetti paesi sviluppati attraversano una grave crisi economica che mette in discussione la loro leadership indiscussa nel 1992; perché ”locomotiva” dell’economia mondiale si è spostata nei “BRICS” (Brasile, Russia. India. Cina, SudAfrica), e la crescita veloce di questi paesi ha aumentato la pressione sulle proprie risorse energetiche e naturali mettendo in evidenza l’urgenza di nuove tecnologie e nuovi sistemi ad alta efficienza per l’energia, l’acqua, l’agricoltura; perché, mentre la popolazione del pianeta cresce, almeno due miliardi di persone non hanno accesso all’elettricità ed all’acqua pulita”.

Infatti per i BRICS la “via della green economy” come intesa dai paesi industrializzati significa standard che potrebbero compromette la crescita economica (anche se la Cina su questo ha fatto delle aprteure). Per i paesi meno sviluppati uno sviluppo green significa piuttosto la preservazione della sovranità sulle proprie risorse naturali e un’apertura dello scambio tecnologico e un potenziamento dei finanziamenti per lo sviluppo. In questo senso la Cina ha rilanciato con il gruppo dei G77 una proposta per un fondo speciale per lo sviluppo da 30 miliardi. Ma EU e USA, per il momento di finanze e di common but differenciated responsabilities (un principio che sottolinea la responsabilità delle nazioni industrializzate ad avere leadership nel supporto allo sviluppo sostenibile) non ne vogliono affatto sapere. «Siamo qua per partecipare tutti insieme e prendere decisioni comuni», ha laconicamente commentato Stern.

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