14 Marzo 2011 Emanuele Bompan

«Ecco le grandi innovazioni che sfameranno il Pianeta»

E. Bompan e C. Minarelli da Washington

INTERVISTA
A colloquio con Danielle Nierenberg alla vigilia del suo viaggio in Italia per la promozione del libro e del progetto State of the world 2011 di cui è condirettrice. Il volume, curato dal Worldwatch institute, uscirà in Italia il 16 marzo

Il 16 Marzo esce l’edizione italiana dello State of the world 2011, sottotitolo Innovazioni che nutrono il pianeta, a cura del prestigioso Worldwatch institute, considerato il più autorevole osservatorio dei trend ambientali globali. Quest’anno il report concentra l’attenzione sui temi alimentari, con particolare enfasi sulle più recenti innovazioni agro-ecologiche e sulla loro applicazione su scala mondiale, riportando i maggiori successi ottenuti nella prevenzione dello spreco del cibo, nella messa in atto di pratiche che contribuiscano a contrastare i cambiamenti climatici, nell’incentivazione dell’agricoltura nelle città. Prendendo spunto dal lavoro di esperti del settore agricolo e da centinaia di progetti innovativi che sono già stati realizzati sul campo, il rapporto descrive 15 pratiche collaudate e sostenibili dal punto di vista ambientale. Danielle Nierenberg, condirettrice del progetto in arrivo in Italia a fine marzo per la presentazione del libro, ha viaggiato per 15 mesi nel continente africano e ci tiene a sottolineare l’aspetto pratico e solutionoriented del report.

«State of the World 2011 è pieno di storie di successo e di speranza nell’ambito dell’agricoltura sostenibile, vengono riportati centinaia di casi studio ed esempi in prima persona, soluzioni reali per ridurre la fame e la povertà» ha dichiarato la Nierenberg contattata da Terra via Skype. «è la prima volta che il focus è unicamente su temi quali cibo e fame, così come è la prima volta che ci concentriamo totalmente su soluzioni e innovazioni. Abbiamo cercato di mettere in luce le pratiche che aiutano a professionalizzare l’agricoltura, in modo che questa possa essere considerata un’opzione viabile dalle persone, e ridurre così anche le migrazioni verso le città». Risposte che oggi servono anche per affrontare la crisi dei prezzi alimentari. Nonostante la situazione sia peggiorata rispetto alla crisi del 2008, gli investimenti nello sviluppo agricolo da parte di governi e organismi internazionali registrano i minimi storici. Dal 1980 la percentuale degli aiuti allo sviluppo dedicata all’agricoltura si è abbassata dal 16 per cento ad appena il 4 per cento di oggi.

Quali sono oggi i principali problemi legati al cibo?
In primo luogo il fatto che si è praticata, a livello mondiale, una politica di abbandono dell’agricoltura. Molti stati africani investono solo il 10 per cento del loro budget in agricoltura, quando queste economie sono basate quasi interamente sull’agricoltura. Abbiamo bisogno di un reinvestimento nel settore agricolo, non solo in Africa, ma a livello globale. Il secondo problema è l’impatto che il cambiamento climatico sta avendo sugli agricoltori, creando barriere e ostacoli alla produzione alimentare. Dalla nostra ricerca emerge che quando si crea innovazione per essere resilienti al cambiamento climatico, non servono cambiamenti su larga scala o semi transgenici, ma pratiche locali. Ricerche in Africa dimostrano che promuovere le coltivazioni locali, come fonte di sostentamento e di entrata economica, riduce notevolmente lo spreco di cibo e contribuisce alla mitigazione del cambiamento climatico, meglio di monoculture e semi transgenici, vulnerabili agli effetti di siccità, eventi metereologici e malattie.

Danielle Nieremberg


Che tipo di soluzione propone per la crisi alimentare dei prezzi?
Il nodo centrale è fermare la speculazione sulle commodities agricole. Il cibo non deve essere visto come commodity, cioè come merce di scambio, ma come diritto umano fondamentale. Bisogna fare pressione a livello internazionale perché queste speculazioni vengano impedite. Gli agricoltori devono avere la possibilità di vendere ciò che coltivano nei loro paesi, mentre oggi in molti negozi africani si possono comprare solo prodotti alimentari provenienti dall’estero. è evidente che ci sia un problema. Il decimo capitolo affronta l’argomento di come sfamare le città, sempre più affamate di risorse. Una soluzione semplice che sta dando buoni risultati è l’agricoltura urbana, ovvero destinata all’autoconsumo e alla vendita in città. I vantaggi sono enormi in quanto aumenta la sicurezza alimentare. Faccio un esempio. I prezzi del cibo a Nairobi in questo momento sono astronomici. Nello slum Kibera un gruppo di contadine coltiva il riso grazie a orti verticali (sacchi pieni di terriccio con buchi sui lati). Nel 2008, quando vi sono state delle rivolte a causa delle elezioni e nessun alimento poteva essere trasportato all’interno della città, queste donne avevano comunque il cibo da loro coltivato e hanno potuto così sfamare le proprie famiglie.

Alcuni esempi di soluzioni riportate come “buone pratiche”?
Nel report si parla molto del ruolo che le innovazioni tecnologiche possono ricoprire per aiutare gli agricoltori nel loro lavoro. Uno di questi è il semplice telefono cellulare, in quanto consente l’accesso a operazioni bancario-finanziarie e la condivisione di informazioni su prezzi/ meteo come di consigli per proteggere i raccolti. Altro esempio è sono le transazioni tramite applicazioni (per telefoni low-cost, ndr), utilizzate in Zambia, un sistema che consente agli agricoltori di registrare lo storico della loro attività lavorativa, in modo tale che possano utilizzare i loro successi sul campo per avere accesso al credito. Infine, una pratica utile è l’incorporazione di alberi nelle coltivazioni, con evidenti molteplici vantaggi. Vi sono quelli che chiamiamo “fertilizer trees” (come l’albero di acacia, ndr), i quali aiutano a diminuire l’erosione del suolo e a fissare l’azoto nel terreno, riducendo in questo modo la dipendenza degli agricoltori dai fertilizzanti chimici. Gli alberi inoltre limitano la deforestazione, possono servire come combustibile e sequestrano la CO2 emessa.

Gli agricoltori hanno la percezione del cambiamento climatico?
Si, assolutamente. Gli agricoltori africani, che non hanno sistemi di produzione molto meccanizzati, sono molto in sintonia con ciò che sta accadendo con il clima. Conoscono i cambiamenti climatici perché li vedono ogni giorno.

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